IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 588/1988
 r.g.r. proposto da Vitali Sabatino, rappresentato e difeso  dall'avv.
 prof.  L.  Acquarone e dal dott. proc. F. Massa, presso lo studio dei
 quali, in Genova, v. Corsica  21/20,  e'  elettivamente  domiciliato,
 contro  il  Ministero  delle  finanze,  in  persona  del Ministro pro
 tempore, rappresentato e difeso  dall'avvocatura  distrettuale  dello
 Stato, presso la quale e' elettivamente domiciliato, in Genova, viale
 B. Partigiane 2,  per  l'annullamento  del  decreto  ministeriale  17
 febbraio  1988,  n. 264967, conosciuto il 25 febbraio 1988, avente ad
 oggetto l'irrogazione della sanzione disciplinare della  perdita  del
 grado   con   conseguente   cessazione   dal  servizio,  nonche'  per
 l'annullamento  di  ogni  altro  atto  presupposto,  conseguente  e/o
 connesso;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio dell'amministrazione
 resistente;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza  del 5 luglio 1990 la relazione del
 referendario Alessandro Botto;
    Uditi  altresi',  la  dott. proc. Daniela Anselmi, in sostituzione
 del dott. proc. F. Massa, per il ricorrente e l'avvocato dello  Stato
 A. Olivo per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato quanto segue:
                         ESPOSIZIONE DEL FATTO
    Con  ricorso notificato il 23 aprile 1988 Sabatino Vitali chiedeva
 l'annullamento del d.m. 17 febbraio 1988, n. 264967, con il quale gli
 era  stata  irrogata la sanzione disciplinare della perdita del grado
 con conseguente cessazione dal  servizio.  Affermava  il  ricorrente,
 gia'  brigadiere della Guardia di finanza, di essere stato sottoposto
 a procedimento penale per i reai di contrabbando e  corruzione  e  di
 essere  stato per tale motivo sospeso precauzionalmente dal servizio.
    Con  sentenza  11  giugno  1984  il  tribunale di Treviso lo aveva
 dichiarato responsabile dei  reati  suindicati,  ma  la  sentenza  di
 appello,  emessa  il  30  gennaio  1986  e  passata  in  giudicato il
 successivo 4 febbraio 1986, aveva dichiarato  non  doversi  procedere
 nei suoi confronti per intervenuta prescrizione dei reati.
    Con  nota  del 7 marzo 1987 il comando del gruppo della Guardia di
 finanza di Imperia aveva  comunicato  al  ricorrente  che  era  stata
 aperta  un'inchiesta  formale  nei  suoi  confronti  e  che era stato
 nominato l'ufficiale inquirente.
    Il  Vitali  era  stato quindi chiamato dall'ufficiale in questione
 per prendere visione degli atti a suo carico e formulare  le  proprie
 osservazioni difensive e successivamente, dopo essere stato convocato
 per la discussione davanti alla commissione di disciplina, era  stato
 raggiunto   dalla   comunicazione  dell'avvenuta  adozione  nei  suoi
 confronti della sanzione della perdita del grado  per  rimozione,  ai
 sensi  dell'art.  60, punto 6, della legge n. 599/1954, essendo stato
 ritenuto responsabile degli addebiti contestati.
    A   giudizio   del  Vitali  tale  provvedimento  doveva  ritenersi
 illeggittimo,  in  quanto  il  procedimento  disciplinare  era  stato
 attivato  oltre un anno dopo il passaggio in giudicato della sentenza
 della Corte d'appello di Venezia che aveva applicato la  prescrizione
 ai reati a lui contestati.
    Affermava  il  ricorrente  che,  pur  non essendo al'uopo previsti
 termini  decadenziali  dalla  legge  n.  599/1954  per  attivare   il
 procedimento  disciplinare  e  per compiere i vari atti dello stesso,
 dovrebbe ritenersi principio  generale  dell'ordinamento  quello  che
 impone  di  rispettare precisi termini di procedura, onde evitare che
 il   sottoufficiale    inquisito    sia    sottoposto    all'arbitrio
 dell'amministrazione militare.
    A  tale  proposito  il  Vitali  evidenziava  come  dovrebbe  farsi
 riferimento ai termini previsti dal  d.P.R.  n.  3/1957,  considerato
 dalla  giurisprudenza  come normativa generale in materia di pubblico
 impiego. In particolare, dovrebbero trovare applicazione nel caso  di
 specie:   a)   l'art.  97,  terzo  comma,  ove  e'  previsto  che  il
 procedimento disciplinare abbia inizio, con  la  contestazione  degli
 addebiti,  entro  centottanta  giorni  dalla  data in cui e' divenuta
 irrevocabile la  sentenza  di  proscioglimento  nel  processo  penale
 instaurato  a  carico  del  dipendente; b) l'art. 111, secondo cui la
 data della seduta fissata per la trattazione davanti alla commissione
 di  disciplina  deve essere comunicata all'inquisito con un preavviso
 di almeno venti giorni e con l'espressa avvertenza della facolta'  di
 intervenire  e  far  pervenire eventuali memorie difensive; c) l'art.
 120, secondo cui il  procedimento  disciplinare  si  estingue  quando
 siano  trascorsi  novanta  giorni  dall'ultimo  atto senza che nessun
 ulteriore atto sia stato compiuto.
    Facendo  applicazione  di  tali  norme,  nel  caso  di  specie  il
 provvedimento   disciplinare   impugnato   risulterebbe   illegittimo
 perche':  a)  la  contestazione degli addebiti, e quindi l'inizio del
 procedimento disciplinare, come sopra esposto, e' iniziato  oltre  un
 anno dal passaggio in giudicato della sentenza di proscioglimento del
 ricorrente; b) la  comunicazione  per  la  discussione  davanti  alla
 commissione  di disciplina e' avvenuta con un preavviso di soli sette
 giorni, senza alcuna espressa avvertenza circa le facolta' di difesa;
 c)  il  procedimento  e'  stato  ripetutamente interrotto per periodi
 superiori ai novanta giorni (ad esempio dal  1º  giugno  1987  al  1º
 ottobre 1987 e dall'8 ottobre 1987 al 17 febbraio 1988).
    In   via   subordinata   il   ricorrente  sollevava  eccezione  di
 illegittimita' costituzionale della normativa  di  specie  (legge  31
 maggio  1954,  n.  599),  ove  non  prevede termini per l'inizio e lo
 svolgimento del procedimento disciplinare.  Si  tratterebbe  infatti,
 secondo  il  Vitali,  di una ingiustificata disparita' di trattamento
 con il personale civile, nonche' di una violazione del  principio  di
 difesa   e   del   giusto   procedimento,   applicabili  entrambi  al
 procedimento disciplinare.
    Da  ultimo  il  ricorrente  evidenziava l'illegittimita' dell'atto
 impugnato sotto il profilo della  mancata  autonoma  valutazione  dei
 fatti posti a fondamento del processo penale, essendosi acriticamente
 recepite le risultanze processuali, peraltro definite con sentenza di
 non doversi procedere.
    Si  costituiva  in giudizio l'amministrazione resistente, la quale
 chiedeva il  rigetto  della  domanda  proposta,  non  potendosi  fare
 applicazione  delle  norme  previste  per  gli impiegati civili dello
 Stato nel caso di specie.
    Evidenziava   altresi'   l'amministrazione   la  tardivita'  delle
 doglianze, dal momento che l'inquisito avrebbe dovuto far valere tali
 censure   gia'   contro   l'atto   di  deferimento  alla  commissione
 disciplinare.
    Quanto  all'ultimo motivo di doglianza, l'amministrazione rilevava
 come i fatti posti a fondamento del processo penale non  erano  stati
 acriticamente recepiti, ma erano stati oggetto di autonoma ed attenta
 valutazione.
    Con  successiva  memoria  il  ricorrente  affermava  che il t.a.r.
 Sardegna, con sentenza 26 novembre 1987, n. 888, in un caso simile  a
 quello  oggetto  del  presente giudizio, aveva fatto applicazione del
 principio generale secondo cui il procedimento disciplinare a  carico
 di  un  sottufficiale  deve  essere  attivato  e  definito  in  tempi
 ragionevoli. In tale ottica il t.a.r. aveva fatto ricorso al  termine
 di  centottanta  giorni,  di cui all'art. 97 del d.P.R. n. 3/1957, da
 considerarsi  termine  congruo  e   ragionevole   per   iniziare   il
 procedimento disciplinare.
    Quanto   alla   eccepita  tardivita'  delle  doglianze,  sollevata
 dall'amministrazione  resistente,   il   ricorrente   affermava   che
 l'interesse   all'impugnazione   era   sorto   in   concomitanza  con
 l'irrogazione della sanzione disciplinare.
    All'udienza  del  5  luglio  1990  la  causa  veniva trattenuta in
 decisione dal collegio.
                         MOTIVI DELLA DECISIONE
    A  giudizio  del  collegio  di palesa rilevante non manifestamente
 infondata la sollevata eccezione di incostituzionalita'  degli  artt.
 20, 64, 65, 66, 67, 72 e 74 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (stato
 dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica).
    Ed   invero,   dovendosi   ritenere  non  fondata  l'eccezione  di
 tardivita'   delle    doglianze,    sollevata    dall'amministrazione
 resistente,  in quanto l'interesse a ricorrere deve dichiararsi sorto
 soltanto  con   l'irrogazione   della   sanzione   disciplinare,   ed
 altrettanto   infondata   apparendo   la   censura  di  insufficiente
 motivazione del provvedimento impugnato in relazione  alla  ricezione
 delle   risultanze   del  procedimento  penale,  in  quanto  i  fatti
 contestati  appaiono  autonomamente  vagliati  e  valutati  in   sede
 disciplinare,  ne discende che risultano rilevanti le doglianze mosse
 dal ricorrente all'atto impugnato  sotto  il  profilo  della  mancata
 osservanza di termini procedimentali decadenziali.
    A  tale  proposito  si  rileva  come  non  possa  effettuarsi  una
 automatica trasposizione dei termini all'uopo previsti dal d.P.R.  n.
 3/1957,  in  quanto  trattasi di normativa applicabile agli impiegati
 civili dello Stato e non anche  ai  militari  (in  questo  senso,  da
 ultimo cfr, C.d.S., sez. IV, 24 luglio 1989, n. 497).
    Ove  poi  si  volesse  enucleare  da  detta normativa un principio
 generale ordinamentale, consistente nell'obbligo  di  previsione  per
 tutti  i  procedimenti  disciplinari  di termini decadenziali, non si
 potrebbe comunque risolvere in via interpretativa il caso di  specie,
 in  quanto  la  concreta  individuazione  di  tali  termini  non puo'
 avvenire  ad  opera   del   giudice,   poiche'   cio'   comporterebbe
 l'effettuazione   di  un'operazione  esulante  dalla  mera  attivita'
 ermeneutica, per approdare al rango di vera integrazione legislativa.
    Ecco  che  sorge quindi l'esigenza di investire della questione la
 Corte costituzionale, che appare essere l'unico organo  competente  a
 riportare   nell'alveo  di  un  corretto  assetto  costituzionale  il
 problema in esame.
    E  la  Corte dovra' accertare se, in effetti, come sembra a questo
 Collegio, le norme di cui agli artt. 20, 64, 65,  66,  67,  72  e  74
 della  legge  n.  599/1954,  applicabili  al caso di specie in virtu'
 operato dalla  legge  17  aprile  1957,  n.  260,  violino  la  Carta
 costituzionale   ove   non   prevedono   termini   decadenziali   per
 l'attivazione   del   procedimento   disciplinare   a   carico    dei
 sottufficiali  delle  ff.aa.,  per  l'esecuzione degli ulteriori atti
 d'impulso procedimentale, nonche'  ove  non  sono  garantiti  termini
 dilatori   prima   della  comparazione  dell'inquisito  davanti  alla
 commissione di disciplina (aspetti che rappresentano i tre profili di
 illegittimita' sollevati nella fattispecie in esame e che, in caso di
 accoglimento,  anche  soltanto  per  uno  di  essi,   provocherebbero
 l'annullamento del provvedimento impugnato).
    Ritiene   questo   giudice   che   le  censure  di  illegittimita'
 costituzionale non  siano  manifestamente  infondate  in  quanto,  in
 effetti,  non  appare razionalmente giustificabile tale disparita' di
 trattamento, pur nella peculiarita' dello  status  dei  sottufficiali
 delle ff.aa., con gli impiegati civili dello Stato. A maggior ragione
 appare irrazionale l'assenza di qualunque termine procedimentale, ove
 si  ponga mente al fatto che gia' nel 1943, con l'art. 48 del d.i. 28
 aprile 1943, n. 460,  erano  previsti  termini  per  il  procedimento
 disciplinare  a  carico  degli ufficiali delle ff.aa., consistenti in
 novanta giorni per la durata massima dell'inchiesta formale.
    Di  conseguenza,  appare non manifestamente infondata la questione
 di illegittimita'  costituzionale  delle  norme  in  esame  sotto  il
 profilo  della ingiustificata disparita' di trattamento (art. 3 della
 Costituzione).
    Inoltre,  appare  non  infondata la censura di incostituzionalita'
 relativamente all'assenza di garanzie procedimentali  temporali  tali
 da consentire l'attuazione del cosiddetto "giusto procedimento", alla
 luce dei valori espressi dall'art. 2 della Costituzione e, se e'  pur
 vero che la Corte ha anche di recente ribadito che tale principio non
 e' vincolante per  il  legislatore  statale,  cionondimeno  non  puo'
 obliterarsi  la effettiva compressione dei diritti afferenti la sfera
 personale  dell'inquisito,  costretto  a   subire   un   procedimento
 disciplinare potenzialmente senza limiti di tempo.
    Da ultimo si evidenzia come non manifestamente infondata sia anche
 la censura di incostituzionalita' sotto il profilo  della  violazione
 dell'art.52  della  Costituzione,  secondo  cui  l'ordinamento  delle
 ff.aa. si informa allo spirito democratico  della  Repubblica,  tanto
 piu'  che,  in esecuzione di tale principio costituzionale, con legge
 11 luglio 1978, n. 382, all'art. 3, si e' stabilito che  ai  militari
 spettano  i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai
 cittadini.